12 dicembre 2015

La crisi ambientale è un'opportunità che capita ogni mille anni per rendere il mondo più equo



 
Molto probabilmente l'accordo che sarà presentato tra meno di una settimana sarà accompagnato da ampio clamore e autocelebrazione da parte dei politici e dalla stampa particolarmente schierata ma non sarà sufficiente a garantire la nostra sicurezza. Di fatti, sarà oltremodo pericoloso.

Gli obiettivi che le principali economie mondiali hanno messo sul tavolo delle trattative di Parigi ci conducono verso un futuro innalzamento delle temperature pari a 3-4 gradi, secondo i dati del Tyndall Center, anziché 2, come promesso a Copenaghen. Proprio negli accordi di Copenaghen, i nostri governi definivano quei due gradi come un "riscaldamento pericolo".

Anche grazie a importanti studiosi del clima come James Hansen sappiamo che due gradi sono fin troppi. Dalle nostre esperienze quotidiane ci rendiamo conto che il grado d'innalzamento delle temperature della terra è fin troppo elevato. Ne hanno già pagato le conseguenze migliaia di vite umane e mezzi di sussistenza, dalle Filippine al Bangladesh alla Nigeria, da New Orleans alle Isole Marshall. Parlare di cambiamento climatico e concepire il termine "pericoloso" come un'entità lontana è, per usare le parole pronunciate ieri dal mio amico Kumi Naidoo, "razzismo subliminale", anche se, giorno dopo giorno, sta diventando sempre meno subliminale.

"Gli obiettivi che le principali economie mondiali hanno messo sul tavolo delle trattative di Parigi ci conducono verso un futuro innalzamento delle temperature pari a 3-4 gradi, anziché 2, come promesso a Copenaghen".
Quindi sappiamo già che le trattative annienteranno le linee di confine imposte dagli scienziati. Sappiamo anche che, visti i miseri finanziamenti che i paesi ricchi hanno messo sul tavolo dei negoziati, verranno annientati anche le linee di confine che conducono all'uguaglianza. Allo stesso modo sappiamo che i paesi ricchi non saranno in grado di dividere equamente la riduzione delle emissioni e non sapranno pagare per le conseguenze di tale incapacità. Tuttavia, siamo tenuti a pagare, a pagare per quei paesi poveri che non hanno contribuito a provocare questa crisi affinché siano risarciti per i danni e le perdite subìte. Dobbiamo aiutarli saltare il passaggio relativo all'utilizzo di combustibili per passare direttamente all'implementazione di una economia energetica ecosostenibile.

È per questo che il 12 dicembre alle ore 12 - ovvero il 12, 12, 12 - molti attivisti saranno per le strade di Parigi, per dimostrare pacificamente contro la violazione di queste linee di confine. Verranno anche ricordate le vittime dell'alterazione del clima e le vittime dei tragici attacchi di Parigi, espanderemo così il cerchio della commemorazione.
Scendendo in piazza, rifiuteremo in modo chiaro e inequivocabile il divieto drastico e opportunistico imposto dal governo di Holland di partecipare a riunioni, cortei, proteste e manifestazioni, faremo sentire la nostra voce contro i vergognosi arresti degli attivisti per il clima e contro le restrizioni senza precedenti della libertà di espressione della società civile che si sono verificate in concomitanza col vertice. Liberté, non è una parola vuota e non vale solo per i mercatini di Natale o per le partite di calcio. In realtà, non significa assolutamente niente se non può essere applicata al dissenso politico e alla difesa della vita sulla terra. Questa disobbedienza non ci rende insensibili, né fa di noi dei facinorosi. È il nostro sacrosanto dovere nei confronti di coloro che oggi soffrono e di coloro a breve perderanno ancora di più, qualora dovessimo perdere questa corsa contro il tempo a favore della giustizia climatica. Eppure, mentre ci raduniamo per respingere quel mondo pericoloso che vorrebbero offrirci i governi riuniti a Le Bourget, nonché le aziende che li finanziano, al nostro "no" dobbiamo unire azioni concrete. Dobbiamo, quindi, dire "sì" al mondo che vogliamo. Dobbiamo disegnare il quadro di quella che potrebbe essere la vita all'interno di quelle linee di confine suggerite dalla scienza, una vita nei limiti imposti dalla natura. Una vita che non solo sarà migliore di una catastrofe futura, ma che deve essere migliore del presente, un presente fatto di livelli di austerità catastrofici, profonda disuguaglianza e razzismo dilagante. È questo il nostro compito. Jeremy Corbyn descrive perfettamente la sfida che abbiamo di fronte e la definisce una crisi di immaginazione. Siamo tenuti a immaginare un modo radicalmente diverso e radicalmente migliore di quello attuale. Per questo voglio condividere con voi un'iniziativa nata nel mio paese, il Canada, dove molti gruppi - con 60 organizzatori, leader, teorici dei movimenti a difesa di lavoro, clima, diritti degli immigrati, lotta alla povertà, giustizia alimentare, diritti di alloggio, diritti delle donne, si sono uniti in un'occasione davvero rara. 

Siamo tenuti a pagare, a pagare per quei paesi poveri che non hanno contribuito a provocare questa crisi affinché siano risarciti per i danni e le perdite subìte, per saltare l'utilizzo di combustibili e passare direttamente all'implementazione di una economia energetica ecosostenibile. Tutto questo è avvenuto con l'obiettivo di sognare insieme. Per delineare un futuro che rispetti sia i limiti della natura, sia i diritti umani e i bisogni dell'uomo. Abbiamo raggiunto un accordo siglando un documento chiamato The Leap Manifesto ("Il manifesto del salto", ndt) sottoscritto poi da più di cento organizzazioni canadesi, tra cui molti sindacati e decine di migliaia di canadesi, come Leonard Cohen ed Ellen Page. Questa iniziativa ha dato abbrivio alla stesura manifesti simili sottoscritti in diverse parti del mondo, dal Nunuvut all'Australia.

Il documento parte dall'idea che se ci impegniamo seriamente nella costruzione di un'economia post-carbonio, avremo una possibilità unica di trasformazione l'economica stessa, più equa e a beneficio di molte più persone. Si tratterebbe di un'economia pulita con molti buoni posti di lavoro sindacalizzati in grado di pagare salari di sussistenza, con servizi pubblici migliori distribuiti più equamente. Tuttavia, prima di addentrarmi in discorsi ottimisti, devo ammettere che non sono arrivata a fare considerazioni sul mutamento climatico dopo aver visti gli aspetti positivi del disastro. Al contrario, ci sono arrivata osservando quello che gli umani sono in grado di fare in momenti di crisi, quello che io chiamo il "capitalismo dei disastri".
Il mio risveglio nei confronti del mutamento climatico è avvenuto esattamente dieci anni fa, quando l'uragano Katrina ha devastato New Orleans. L'evento mi ha dimostrato che esiste un conflitto irreconciliabile tra la realtà del cambiamento climatico e la cosiddetta ideologia del libero mercato che governa il mondo da quattro decadi. Ecco perché dobbiamo sempre ricordare che quello che è successo a New Orleans non ha riguardato solo il clima. È stata una collisione tra il condizioni climatiche sfavorevoli e l'eredità lasciata da quattro decadi di smantellamento sistematico della sfera pubblica, in più, in cima a tutto questo c'era razzismo sistemico presente ad ogni livello. Dopo l'arrivo di Katrina, la popolazione ha conosciuto quello che Paul Krugman definisce "lo Stato del non posso farlo", per cinque giorni la FEMA (Ente Federale per la Gestione delle Emergenze, ndt) non è stata in grado di estrarre New Orleans dalle macerie. La popolazione, per lo più afro-americana, si è trovata abbandonata a se stessa. Dopo lo shock è arrivata la "Shock Doctrine". Gli ideologi di destra avevano un piano post-Katrina molto semplice: sfruttare la crisi per sbarazzarsi della sfera pubblica. Alloggi, scuole, ospedali pubblici. Un'altra cosa per la quale premevano i repubblicani dopo l'avvento di Katrina è stata la sospensione nella zona delle norme fondamentali sul lavoro. Così la ricostruzione di New Orleans è diventata un focolaio per il lavoro nero, in particolare per i lavoratori immigrati. Ecco spiegato perché la lotta per i diritti di lavoratori e la lotta contro le austerità non possono essere separate dalla lotta a favore di azioni per il clima. Il movimento operaio internazionale sta lavorando alacremente in difesa della sfera pubblica ed è l'unico modo per difenderci da tempeste, inondazioni ed emergenze sanitarie.

Esiste un conflitto irreconciliabile tra la realtà del cambiamento climatico e la cosiddetta ideologia del libero mercato che governa il mondo da quattro decadi. Come si è appena ricordato, l'Europa non è immune. Il Regno Unito non è immune. In un passaggio di "This changes everything" ho riportato come le inondazioni britanniche del 2013 hanno svelato l'incompatibilità di austerità e crisi climatica.
Nel 2012, The Guardian ha rivelato che "circa 300 sistemi di difesa contro le inondazioni /sono stati lasciati) incompiuti a causa dei tagli di bilancio imposti dal governo". David Cameron ha falcidiato l'Agenzia per l'Ambiente (EA), responsabile della prevenzione alle inondazioni. Dal 2009, nella stessa agenzia c'è stata una riduzione di almeno 1150 posti di lavoro e altrettanti 1700 sono a rischio, per un totale di circa un quarto della forza lavoro complessiva. Preso sul fatto, Cameron ha dichiarato: "Il denaro non può essere messo in discussione in questa operazione di salvataggio. Sarà speso quanto necessario".

Il problema dell'austerità non è solo che interferisce con la capacità di difenderci da condizioni meteo avverse nelle quali già riversiamo, il punto cruciale è che gli investimenti pubblici, quelli destinati a energie rinnovabili, trasporti pubblici e trasporto su rotaie ecosostenibile, sono le uniche cose in grado ridurre velocemente le emissioni fino a evitare che il riscaldamento globale raggiunga livelli catastrofici. Ecco perché nel The Leap Manifesto abbiamo inserito richieste fondamentali quali: "Abbiamo bisogno di investimenti nelle decadenti infrastrutture pubbliche affinché resistano a eventuali disastri climatici".

Dobbiamo sempre ricordare che quello che è successo a New Orleans non ha riguardato solo il clima
Ma siamo voluti andare oltre alla richiesta di "lavori ecosostenibili" e all'istallazione di pannelli solari in risposta ai disastri. Chiediamo nuove ondate d'investimenti nella manodopera legata al settore delle basse emissioni, un settore già avviato. Ecco allora un'altra delle nostre richieste: "È necessario espandere i settori che già lavorano con basse emissioni: l'assistenza, l'insegnamento, l'assistenza sociale, l'arte e i mezzi di informazione di interesse pubblico".
Spesso gli ambientalisti non le nominano, ma l'insegnamento e la cura dei minori non consumano molto carbonio. Tantomeno, l'assistenza medica. Quando ci prendiamo cura degli altri, ci prendiamo cura del pianeta. Per questo non ha senso che questi settori siano interessati dai continui tagli della politica.
Questo spiega perché abbiamo ritenuto che fosse assolutamente cruciale aggiungere un altro punto nel nostro Leap: l'austerità è una crisi preconfezionata. Aggiungendo che il denaro di cui abbiamo bisogno già c'è, dobbiamo solo approvvigionarcene. Sappiamo esattamente come fare: con la fine ai sussidi per i combustibili fossili, la tassazione delle operazioni finanziarie, l'aumento delle royalty sull'estrazione dei combustibili fossili, l'aumento delle tasse per i redditi più alti e per le persone facoltose, l'introduzione graduale di una tassa sul carbonio e tagli alle spese militari. Questo processo è in parte ispirato da uno straordinario gruppo per la giustizia climatica della Bay Area denominato il Movement Generation. In occasione di un evento che abbiamo organizzato insieme, uno dei coordinatori, Quinton Sankofa, ha detto qualcosa che dovrebbe diventare la nostra guida: "La transizione è inevitabile. La giustizia no". La lotta per i diritti di lavoratori e la lotta contro le austerità non possono essere separate dalla lotta a favore di azioni per il clima. Questo significa che se vogliamo che la risposta al mutamento climatico sia giusta ed equa, dobbiamo lottare per assicurarci ciò avvenga. Se vogliamo posti di lavoro ecosostenibile, sindacalizzati in grado di garantire un salario appropriato, allora dobbiamo lottare affinché tutto questo diventi realtà. 

Sappiamo che il cambio climatico non è l'unica crisi con la quale abbiamo a che fare. Ci troviamo anche di fronte a una crisi occupazionale, di disuguaglianza, d'ingiustizie razziali e di genere, di esclusione sociale. Siamo di fronte a una crisi fatta di abusi e maltrattamenti dei lavoratori, che riguarda in particolar modo gli immigrati e i lavoratori di colore, donne nella maggior parte dei casi. Per questo, quando si parla di soluzioni per il clima, il nostro obiettivo non può concernere solo le riduzioni delle emissioni. Allo stesso modo non è possibile affermare che: "Il cambiamento climatico è una questione così grande e così urgente e abbiamo a disposizione così poco tempo che dovremmo mettere da parte tutto il resto". Deve essere preceduta da una parte di progettazione e poi bisogna lottare per l'implementazione soluzioni integrate in grado di dimezzare radicalmente le emissioni e, contemporaneamente, costruire economie più giuste e democrazie basate sulla vera uguaglianza.

Le inondazioni britanniche del 2013 hanno svelato l'incompatibilità di austerità e crisi climatica.
Alcuni esempi considerevoli ci dimostrano che tutto questo può funzionare. L'esempio tedesco: in dieci anni, la transazione energetica della Germania ha dato vita a più di 400.000 posti di lavoro e non solo è stata in grado di fornire energie ecosostenibili, ma anche fatto sí che le stesse energie diventassero più giuste, dal momento che i distinti sistemi energetici sono controllati da centinaia e centinaia di municipi e cooperative energetiche. Un dettaglio poco noto: un fattore determinante di questa transizione è il fatto che i tedeschi hanno invertito la privatizzazione energetica in centinaia di paesi e città. Questo spiega perché una delle richieste chiave inserite in The Leap Manifesto è la Democrazia Energetica, affinché le comunità posseggano e controllino i progetti relativi alle energie rinnovabili. Tuttavia, dobbiamo andare oltre la Democrazia Energetica. Abbiamo bisogno di Giustizia Energetica e di Risarcimenti Energetici. Per questo motivo The Leap afferma che: " i popoli indigeni e gli altri popoli che vivono in prima linea l'attività industriale dovrebbero ricevere sostegno pubblico per i progetti di energia pulita". Come si evince, il mutamento climatico offre argomentazioni forti contro la privatizzazione, contro l'austerità, e la stessa cosa vale per gli accordi commerciali aziendali. La Germania è stata sfidata per la sua transizione energetica così visionaria ed è stata denunciata dalla Svezia per controversie investitore-stato (ISDS) per cui la multinazionalee dell'energia Vantenfall ha chiesto un risarcimento di 4,7 miliardi di euro. Tutto questo è scandaloso e ci sono molte insidie commerciali simili.
È necessario espandere i settori che già lavorano con basse emissioni: l'assistenza, l'insegnamento, l'assistenza sociale, l'arte e i mezzi di informazione di interesse pubblico. Questo è uno dei motivi per i quali tra le richieste principali di The Leap possiamo leggere: "Chiediamo la fine di accordi commerciali che interferiscono con i nostri tentativi di ricostruire le economie locali, regolamentare le società e interrompere progetti estrattivi dannosi". È certo che dovremmo astenerci da firmare altri accordi come il TTIP (Partenariato transatlantico per il commercio e gli investimenti, ndt) e il TPP (Partenariato Trans-Pacifico, ndt). Un altro punto in comune che abbiamo trovato concerne i diritti degli immigrati e dei rifugiati. È noto che il mutamento climatico è una delle cause dei conflitti e delle migrazioni e la situazione è destinata a peggiorare. A tale proposito il manifesto esige pieni diritti per tutti i lavoratori, a prescindere dal loro status, così come l'apertura delle frontiere a molti più immigrati e rifugiati, riconoscendo il nostro ruolo nei conflitti, negli accordi commerciali e nei disastri climatici che congiuntamente spingono così tante persone ad abbandonare i loro paesi. Sono consapevole del fatto che chiediamo di assumere molte responsabilità ma è esattamente questa l'essenza del progetto di The Leap. Parte dalla premessa che per troppo tempo abbiamo viaggiato fuori rotta, che abbiamo pochissimo tempo a disposizione e che passi piccoli non ci porteranno da nessuna parte. Le comunità dovrebbero possedere e controllare i propri progetti di energia rinnovabile.

Dobbiamo proseguire con tutte le nostre forze, su tutti i fronti e raccontare una storia coerente per spiegare come tutti i nostri problemi sono collegati da un insieme di valori che descrivono come dovremmo trattare il prossimo e il mondo, nostra sorgente di vita. Cari amici, non è vero che abbiamo poco tempo a disposizione. Non ne abbiamo proprio. Ci troviamo in un momento storico. Non deludiamo nessuno. La posta in gioco è semplicemente troppo alta. Non è il momento per fare piccoli passi. È il momento di essere audaci. È il momento di fare un salto di qualità. Un Leap, appunto.

* Questo post è stato pubblicato per la prima volta su The Huffington Post U.S ed è stato poi tradotto dall'inglese da Valentina Mecca

11 dicembre 2015

Nessun commento:

Posta un commento